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Un noir sui generis

Si tende ad assistere alle rappresentazioni teatrali allestite da compagnie amatoriali con la spocchia ed il pregiudizio che, inevitabilmente, lo stigma dell’aggettivo “parrocchiale”, in congiunzione con teatro, porta con sé.

Ebbene, forse una volta di più il pregiudizio si è rivelato una via troppo comoda per la conoscenza: il testo del giovane esordiente, Christian Speranza, intitolato La stanza di Preston, è risultato assai solido e gradevole, capace di avvincere lo spettatore distratto e, ancor di più, il pubblico attento. Si tratta di un noir psicologico e, se vogliamo, esistenziale, che si può inserire in un filone ormai abbastanza battuto in questa nostra epoca angosciata. L’abilità dell’autore sta tutta nel far partecipare il pubblico alle ansie ed ai dubbi del protagonista, Preston, fino a provocare la classica com-passione nei confronti di questo e far nascere un sussulto al momento del colpo di scena finale.

Grande merito va accordato agli interpreti di questo triangolo: gli attori della compagnia Ultima Scena. Saper reggere l’attenzione dell’uditorio per più di un’ora e mezza con soltanto due o tre attori sul palco denota la notevole perizia di questi ultimi. Il protagonista, Tommaso Poggi, riesce a convincere con un’interpretazione appassionata e coinvolgente, sapendo cogliere certi tratti naïf del personaggio, oltre a quelli più disturbati e disturbanti. Perfettamente a sue agio la protagonista o, meglio, antagonista femminile, Giulia Merizzi, nel ruolo di femme fatale, probabilmente aiutata anche da un adeguato fisique du role. La recitazione sciolta e naturale rende un po’ tutti insieme ammaliati e decisamente misogini. A voler dare un suggerimento, in tempi di sigarette elettroniche, l’utilizzo di un simile accessorio avrebbe potuto aggiungere un’ulteriore aura (letteralmente) al personaggio, senza arrecare danno ai bronchi di alcuno. Buona la prova dell’amico/alter ego di Preston, Dario Bertoia, capace di rendere adeguatamente insinuante e supponente il personaggio interpretato. Unica pecca, una certa sensazione di staticità sulla scena e, occasionalmente, una mancanza di proiezione della voce.

Convincente la regia, curata da un altro membro storico della compagnia, Laura Orio, la quale ha saputo realizzare un allestimento adeguatamente atemporale, ma capace di richiamare la classica ambientazione noir anni ’50, con la sua sobrietà ed essenzialità, senza per ciò finire col risultare spoglio.

A completare il tutto un abile uso delle luci e gli intermezzi e commenti musicali dell’autore stesso, leggermente (e volutamente) ansiogeni e capaci di ravvivare la tensione.

In conclusione, decisamente un’ottima prova da parte di un principiante autore e di una ormai consolidata compagnia teatrale.

 Andrea Deangelis