Cena di Natale 2012 – parte I

Quando la ragazza suonò al citofono del mio studio da Investigatore del Soprannaturale, dando l’inizio alla bizzarra serie di avvenimenti che avrebbero sconvolto per sempre la mia vita, stavo lottando con un fiammifero per riuscire a farmi un the.

Il mio studio da investigatore era una modesta mansarda che mi faceva anche da casa, dalle pareti così sottili che il mio vicino a volte si intrometteva nelle mie conversazioni, e da qualche giorno completamente gelata a causa di un guasto del riscaldamento e della spilorceria del mio padrone di casa. Ormai salavo la minestra più che altro per non farla ghiacciare, e giravo per casa indossando quasi tutti gli abiti del mio guardaroba, compresi un accappatoio multicolore e un berretto da Babbo Natale. Ma la mansarda costava poco, e offriva una vista impareggiabile sui tetti della città.

La cliente al citofono aveva una voce niente male, e mentre affrontava i sei piani di scale senza ascensore cercai di rendermi presentabile lottando con il piccolo demone dei calzini spaiati che viveva nel mio cassetto.

La ragazza che mi si presentò alla porta era uno dei più bei paesaggi su cui si fossero posati ultimamente i miei occhi: giovane, sveglia e con l’aria preoccupata.

– E’ lei Gabriel Vertigo, l’Investigatore del Soprannaturale? – disse, guardando con sospetto il berretto da Babbo Natale che avevo dimenticato in testa, e che tolsi sventolandolo con aria professionale.

– Al suo servizio, mademoiselle. Prego, si accomodi. Stavo mettendo su un the, ne gradisce una tazza?

– Volentieri – rispose, mentre la sua bocca emetteva piccole nuvolette di vapore.

Misi a bollire l’acqua e preparai tutto il necessario, dando tempo alla ragazza di mettersi a suo agio e di gironzolare per lo studio osservando i cimeli dei miei casi più difficili, appesi alle pareti: una maschera mortuaria africana, la bibbia squarciata in due che mi aveva salvato dagli artigli di una Succube nel caso Pendergast, l’iPod verde dove ero riuscito a vincolare il Demone Canterino che aveva costretto la vedova Walmart a cantare ossessivamente il Pulcino Pio.

– In cosa consiste esattamente il suo lavoro? – chiese, con aria un po’ scettica.

– Mi occupo di possessioni demoniache, infestazioni, esorcismi, perlopiù, a volte di sette esoteriche o di ricerca di manoscritti dell’occulto, ma molto spesso faccio semplicemente il lavoro di un normale investigatore privato. Ma la prego, si accomodi sulla poltrona. Può coprirsi con quel plaid, se vuole, vedo che sta tremando. Latte, zucchero?

– Entrambi, grazie. Ed è bravo nel suo mestiere?

– Abbastanza da capire che lei fa teatro, ama recitare ma la affascina anche il lato tecnico, ama gli unicorni, ha un fidanzato che possiede un cane rosso di grossa taglia ed ha un problema particolare di cui la polizia si rifiuta di occuparsi.

Sorseggiai il mio the, godendomi la sua espressione sorpresa.

– Come fa a sapere tutte queste cose?

– Lei ha diverse chiavi e cianfrusaglie legate alla cintura con un nodo parlato, il che fa pensare a una scalatrice o a un tecnico teatrale. Ma le sue dita non hanno i calli tipici di uno scalatore, ed ha una bellissima voce impostata, ergo, teatro. Il suo cellulare, che ho intravisto quando l’ha spento, ha un tema sugli unicorni, e riguardo al cane ha dei peli rossi sul maglione…

– Potrebbero essere di un gatto.

– Starei già starnutendo. Il suo anfibio destro è stato masticato più volte da qualcosa di grosso, il che fa pensare a un cane di discrete dimensioni. Il cane non è suo, o sarebbe qui con la sua padrona amante degli unicorni, ma è di qualcuno con cui è abbastanza in confidenza da togliersi le scarpe. Lei sembra sana di mente quindi immagino che sia andata prima alla polizia, e il suo deve essere un problema molto particolare, o si sarebbe rivolta a uno dei tanti investigatori che compaiono prima di me su Google.

Avevo giocato d’azzardo su un paio di deduzioni, ma capii di aver fatto centro col mio spettacolino alla Sherlock Holmes. Ora mi guardava un po’ meno come un ciarlatano di paese, e scorsi nei suoi occhi un vago lampo di ammirazione.

– E ora che ho risposto a tutte le sue domande, che ne dice di dirmi qualcosa di lei? Potrebbe iniziare dal suo nome, ad esempio.

– Mi chiamo Cristina, Cristina Boretto. Sto cercando il mio ragazzo: si chiama Marco Cinnirella, ed è scomparso ormai da una settimana. Mi ha telefonato molto agitato, dicendo che doveva fare una cosa e che non ci saremmo visti per un po’, e mi ha fatto promettere che non lo sarei andato a cercare, e poi non l’ho più sentito. Ha il telefono staccato, e nessuno sa dove sia finito. Recentemente si era interessato a dei vecchi manoscritti, mi parlava di demoni e spiriti, e ho paura che si sia cacciato in un brutto guaio. Allora, mi può aiutare?

– Non abbia tanta fretta. Voglio prima saperne di più. Sono molto impegnato, e non accetto mai un caso se non sono sicuro di poterlo portare a termine.

Finsi di guardare nella mia agenda, sebbene gli unici due casi che avessi avuto in tutto il mese fossero un caso di poltergeist che si era rivelato semplice disordine adolescenziale e un tizio invasato da un Demone dell’Aerofagia che si faceva chiamare “l’Utimo Dominatore dell’Aria”. Il mio conto era a secco, il frigo vuoto e la zuppa di compost stava per diventare l’unico pasto che potessi permettermi.

– Accetta, amico! Dalla voce sembra pure una bella pupa! – disse una voce da oltre la parete, spaventando la mia cliente.

– Non ci badi, è il mio vicino. Mi parli di questi studi esoterici del suo ragazzo.

– Beh, Cinni… voglio dire, Marco, è un appassionato di teatro. Per lui è proprio un’ossessione. Avrebbe sempre voluto scrivere qualcosa di immortale, qualcosa sublime, e un po’ di tempo fa mi disse di avere scovato una copia di un copione leggendario di cui si parlava da tempo nel mondo del teatro, un testo molto molto potente, scritto anni fa da un tizio geniale mentre era posseduto da un demone…

Ebbi un brivido lungo la schiena.

– …il demone secondo lui era imprigionato in quelle pagine, e stava cercando un modo per poterlo liberare.

– Come si chiamava questo copione?

– Dirac. O meglio D.I.R.A.C., con i puntini tra una lettera e l’altra. Ne ha mai sentito parlare?

– Prenda la sua roba. Andiamo a casa del suo ragazzo. Accetto il caso.

Dirac, lo spettacolo maledetto. Dirac, che doveva salvare il mondo. Dirac, che aveva rovinato la vita a così tante persone. Dirac, scritto da un giovane artista maledetto sotto la guida di un demone edonista contiguo a tutto ciò che è estasi estetica o impulso creativo. Dirac, nelle cui oscure pagine era rinchiuso quel demone maledetto. Lo conoscevo perfettamente.

L’avevo scritto io.

 Cristian Piovano